Como ha una storia virtuosa. All’Insubria è stata fondata la prima cattedra in Italia di giustizia riparativa e in questa città il tema ha trovato un terreno fertile perché il Tribunale e una rete di enti e associazioni del territorio si sono attivati con grande anticipo e determinazione nella promozione degli strumenti per la gestione delle misure alternative alla pena.
Intervista a Grazia Mannozzi, Università degli Studi dell’Insubria – di Maria Grazia Gispi, Centro di Servizio per il Volontariato dell’Insubria
BIO – Professore ordinario di Diritto penale all’Università degli Studi dell’Insubria, Grazia Mannozzi insegna anche Giustizia riparativa e mediazione penale e, presso la stessa università, dirige dal 2014 il Centro Studi sulla Giustizia Riparativa e la Mediazione (CeSGReM).
A tre anni dall’avvio di “COnTatto, trame riparative nella comunità” quali sono gli elementi innovativi che il progetto ha portato nel territorio di Como rispetto al cammino già intrapreso?
Como ha una storia virtuosa. Per quello che riguarda l’approccio universitario, teorico, all’Insubria è stata fondata la prima cattedra in Italia di giustizia riparativa, una serie di altre università in Italia si sono mosse solo di recente. Ma in questa città il tema ha trovato un terreno fertile perché il Tribunale e una rete di enti e associazioni del territorio si sono attivati con grande anticipo e determinazione nella promozione di quegli strumenti che non sono propriamente di giustizia riparativa, ma appartengono all’anello esterno della gestione delle misure alternative alla pena. Il ricorso a questi strumenti ha una ricaduta che va a beneficio di tutta la collettività perché la coinvolge nella gestione dei percorsi educativi. Non si tratta di giustizia riparativa in senso stretto ma di elementi, come i lavori di pubblica utilità, precursori, preparatori, attività che ne hanno anticipato i temi e l’hanno resa possibile.
C’è quindi una differenza tra giustizia riparativa in senso stretto e un contesto di mediazione?
La giustizia riparativa ha il suo focus nell’attenzione alle vittime, significa soprattutto il coinvolgimento delle vittime e della comunità in percorsi che riparano alle vittime l’offesa oltre che il danno materiale, o meglio che cerchino di curare la ferita che il reato ha causato. C’è un altro distinguo importante: la mediazione è uno degli strumenti della giustizia riparativa, si utilizza quando è presente una vittima specifica, individuabile. I percorsi di giustizia riparativa possono essere applicati anche a conflitti non aventi rilevanza penale e vanno a beneficio dell’intera comunità. Como è stata una città modello per i servizi della giustizia e perciò era pronta, forse più di altre realtà urbane, a ricevere il progetto COnTatto.
In questo contesto cittadino dove gli attori dei processi di accompagnamento alle pene alternative erano già allineati su un metodo e su una condivisione di pratiche e valori si inserisce COnTatto: quale cambiamento ha provocato?
In città è stato portato un discorso nuovo, partecipato da una rete ampia di soggetti e scientificamente corretto perché sostenuto dalle università in cui la giustizia riparativa è oggetto di ricerca da tempo. Con il progetto si è realizzato un salto di qualità: i metodi della mediazione e della giustizia riparativa hanno cominciato ad essere sperimentati – come richiedono le direttive e le convenzioni internazionali – in vari ambiti: scolastico, nei luoghi di lavoro, nei piccoli conflitti di vicinato che potrebbero sfociare, se non gestiti, in illeciti penali. Tecnicamente la mediazione, così come riconosciuta alla fine anni 90, riguardava i reati e in particolare l’ambito minorile. Solo successivamente si è parlato di giustizia riparativa perché si è visto che il metodo poteva essere trasportato in altri settori e che si potevano coinvolgere più persone, una comunità. Per questo è nata la giustizia riparativa, per uscire dall’ambito della mediazione tra la vittima e l’autore di reato e allargare alla comunità la possibilità di accesso ai programmi di giustizia riparativa. La giustizia riparativa è diventata un metodo, una forma, un modo di vivere nella comunità, di comunicare, di essere attenti, di prendersi cura. Chi lavora con questi strumenti fa della giustizia riparativa il proprio stile comunicativo, educativo, di vita. Proprio questo sguardo ampio è stato portato avanti con il progetto COnTatto, strutturato in area vittime, area sociale quindi cittadini, quartieri, scuole e area giustizia in senso stretto.
In prospettiva quale lavoro attende le realtà che si sono coagulate attorno al progetto e hanno lavorato insieme? Cosa resta da fare per il nostro territorio e per Como?
C’è un grande lavoro culturale da fare per sensibilizzare la comunità su quanto è stato fatto, per allargare le esperienze nelle scuole, nei quartieri. Senza un’opera continua di disseminazione di conoscenze e sensibilizzazione dei cittadini tutto questo lavoro rischia di implodere. Resterebbero piccole esperienze sparse, un po’ di storia, ma nessun cambiamento profondo e destinato a durare.
Oltre a consolidare l’pera di trasformazione culturale, occorre continuare l’opera di formazione degli operatori perché non è sufficiente formare gli operatori di giustizia riparativa, ma è necessario preparare una cerchia più ampia di soggetti, anche e soprattutto chi ha il primo contatto con le vittime: le forze di polizia, a volte gli insegnanti, gli avvocati.
Infine serve dare concretezza al processo e pensare alla istituzione di un centro di giustizia riparativa e mediazione con mediatori e operatori formati (e l’Università dell’Insubria si è impegnata istituendo Corsi di perfezionamento in tal senso). Se la magistratura locale è sensibilizzata per essere l’autorità inviante, occorrono poi persone competenti e contesti accoglienti atti ad offrire percorsi di giustizia riparativa affidabili e sicuri, che non creino vittimizzazione secondaria.